Dalla Sardegna al Down Under

Siamo partiti dalle coste selvagge della Sardegna verso il cuore pulsante del Down Under, dove il surf è una lingua madre – una voce che unisce e racconta.

Se la Sardegna ci ha forgiato tra onde isolate, rocce e venti di maestrale, l’Australia ci accoglie con le sue lunghe spiagge e l’energia che permea ogni onda, dove il surf è parte di un DNA collettivo.
 E sull’iconica spiaggia di Bondi Beach, questo messaggio è arrivato chiaro e forte.

9 Maggio, Bondi Beach

Venerdì 9 maggio 2025, la SurfAid Cup torna per il nono anno consecutivo sull’iconica onda di Bondi Beach con il suo ormai consolidato format a squadre tag-team, coinvolgendo surfisti di ogni età e livello tecnico.

Ogni team è composto da quattro surfisti che, oltre a sfidarsi tra le onde, contribuiscono attivamente alla raccolta fondi a sostegno della missione di SurfAid: migliorare la salute, il benessere e la resilienza delle comunità che vivono in regioni remote dell’Indonesia e del Pacifico, territori rinomati non solo per la qualità dei loro spot, ma soprattutto perché profondamente intrecciati con la cultura del surf, luoghi sacri che custodiscono una storia e una tradizione che ne rappresentano l’essenza.

A rendere l’evento ancora più coinvolgente è la possibilità, riservata alle squadre con i migliori risultati nella raccolta fondi, di selezionare un surfista professionista o una leggenda locale come quinto membro della squadra.

Nel corso degli anni, le varie edizioni della SurfAid Cup – organizzate in location chiave del surf australiano come Bondi, Noosa, Margaret River e altre – hanno visto la partecipazione di autentiche icone della disciplina, tra cui Tom Carroll, Shane Dorian, Mark “Occy” Occhilupo, Matt “Wilko” Wilkinson, Damien Hardman, Layne Beachley, Sally Fitzgibbons, Laura Enever e Taj Burrow.

In collaborazione con Surfing NSW, SurfAid punta quest’anno a raccogliere 75.000 dollari, destinati in particolare al sostegno di donne e bambini in alcune delle zone più remote dell’area indo-pacifica.
 Durante la gara, tra sorrisi, wax e onde, è bastato poco per sentire sulla pelle quel senso di appartenenza che ci lega profondamente.

Per tutta la giornata, il sole e la pioggia hanno giocato a rincorrersi sopra Bondi, come se il cielo non riuscisse a decidersi. Ma nessuno sembrava farci caso: si continuava a surfare, a ridere, a condividere.
 Poi la pioggia ha iniziato a cadere più fitta, più insistente, finché, stretta alla mia fotocamera, ho cominciato a preoccuparmi. Non tanto per me, ma per lei — fedele compagna di tante avventure.

Il momento perfetto

Mi guardo intorno e realizzo che sotto tre piccoli gazebo ci siamo raccolti tutti: surfisti, volontari, amici, sconosciuti diventati complici. Stiamo lì, stretti sotto la stessa pioggia, in un’atmosfera che unisce tutti.

In quel momento, la musica diffonde “Give me one reason” di Tracy Chapman, e tutto sembra in perfetto equilibrio. Mentre l’acqua scivola dai teli sopra di noi, capisco che non c’è niente di più bello che sentirsi parte di qualcosa di autentico.

La SurfAid Bondi Cup non è stata la classica gara di surf: è stata una dichiarazione d’intenti, un atto collettivo di solidarietà, dove ogni onda portava con sé un messaggio chiaro e urgente—che il surf può (e deve) essere un mezzo per costruire un mondo più giusto, più umano, più connesso.

I surfer si sono alternati tra le onde per sostenere SurfAid, l’organizzazione che da oltre vent’anni lavora per migliorare la vita delle comunità più remote del mondo—quelle stesse comunità che hanno dato i natali alla cultura surfistica, e che troppo spesso vengono dimenticate.

Un’onda può cambiarti la vita

Ogni onda cavalcata durante la SurfAid Bondi Cup è stata una piccola promessa: portare accesso a cure mediche, acqua potabile, istruzione e sicurezza alimentare a famiglie che vivono isolate, lontane da ospedali e infrastrutture.

In un format tanto semplice quanto potente, ogni squadra ha surfato con lo scopo di raccogliere fondi, ma anche di sensibilizzare. Perché qui non si gioca per il podio: si gioca per la vita di qualcuno che, anche senza conoscerlo, senti parte della tua stessa comunità globale.

E noi eravamo lì, con il cuore pieno, con le mani nell’acqua e con una convinzione che ci accompagna da sempre: che il surf è molto più di uno sport. È un linguaggio universale capace di costruire ponti, abbattere distanze, generare un impatto reale.

E mentre le onde continuavano a infrangersi sulla riva, una cosa era chiara a tutti: cavalcare un’onda può cambiare la giornata di qualcuno. Aiutare qualcun altro a cavalcare la propria può cambiargli la vita.